A volte mi capita di intrattenere discussioni parecchio divertenti sul mio lavoro. Discussioni che pur con la risata, mi fanno poi riflettere a lungo sulla deriva che in alcuni casi si rischia di prendere, ma anche sull’esigenza di tenersi sempre aggiornati per non restare indietro. Le discussioni in questione, generalmente, avvengono con mio fratello, ma quasi sempre prendono le mosse da qualche episodio divertente che si è verificato in agenzia.
Come quando, ormai molto tempo fa, chiesi a un cliente «Mi dà il suo account…» e quello senza neanche farmi finire la frase esclamò «Ci mancherebbe!» (solo che per tutta risposta mise mani al portafoglio).
«No, no… Non un acconto – ho proseguito – Volevo il suo indirizzo mail, così le invio il preventivo».
… E la risposta fu «Sa, di queste cose complicate se ne occupa mio figlio. La faccio parlare con lui».
Ok, qui siamo proprio all’ABC. Insomma, al giorno d’oggi una mail ce l’hanno tutti e tutti sanno come usarla (più o meno).
La questione, però, si è fatta accesa anche in tempi più recenti quando ci siamo rese conto che l’INPS non riconosce la figura del Social Media Manager (l’impiegato, davanti alla nostra richiesta ci ha guardate con un tanto d’occhi, e ha detto “Un che?!? Cos’è che volete voi?”) salvo poi capire che i Social Media Manager vengono assimilati a qualche altra categoria lavorativa. Mmm…
Torno a casa e racconto l’episodio in famiglia, quasi sotto choc. E mio fratello «Vabbé ma voi perché lo dovete chiamare così? Tu non fai altro che usare termini che possono non essere capiti: brochure, copywriter, pay-off, publiredazionale, advertising, branding…».
Voglio risparmiarvi tutta la disquisizione che da linguista ho avuto con mio fratello sui prestiti acquisiti, integrati e non integrati. Vorrei tanto capire, perché chiunque sa cosa sia un “play-off“, ma se io dico “headline, art director, browser, marketing o social media manager” inorridiscono e sgranano gli occhi come se parlassi turco antico. E poi perché “depliant” sarebbe comprensibile e “brochure” no? Che difficoltà c’è a capire una frase come «Oggi ho pubblicato un bellissimo post sul mio blog e poi l’ho condiviso facendo social su facebook e twitter»?
Perché sono antica se dico “réclame” e non “spot“? Cosa c’è di ostrogoto nelle parole “merchandising” o “feedback“?
Poi sono disposta a dare ragione a mio fratello, mentre nella massima parte dei casi utilizzare questi inglesismi (prestiti ormai acquisiti dalla nostra lingua) sono fondamentali perché è molto più breve dire “pay-off” che “frase riassuntiva, sintetica e caratterizzante, di un annuncio pubblicitario,vale a dire quella frase che in poche parole racchiude il significato del messaggio che si vuole trasmettere agli utenti”… in altri gli inglesismi che usiamo sono vere e proprie inutilità perché dire “briefing“, invece di “riunione”?
Tutto chiaro, no?
Carla