Abbiamo fatto una ricerca di influencer per un cliente. Per diversi giorni abbiamo cercato persone che rientrassero nel target di riferimento, che avessero le caratteristiche richieste e che potessero fare al caso nostro e della persona che stava facendo la richiesta.
A parte che, ancor di più, abbiamo profilato gli influencer della zona, potendo aggiornare il nostro archivio già avviato da anni, abbiamo anche avuto la possibilità di interfacciarci con persone nuove, professionisti della comunicazione che, nel momento in cui vengono coinvolti in un progetto, possono fare la differenza.
Devo però dire che intorno c’è un sottobosco che può confondere assai e che può catturare l’attenzione di chi non ha gli strumenti giusti per capire se uno l’influencer lo fa di mestiere oppure per “sbaddu”.
Abbiamo trovato decine di profili fin troppo generici, nei quali per capire la città di appartenenza come minimo si doveva tirare ad indovinare, profili che nemmeno i tool avevano mai sentito nominare, altri cresciuti all’improvviso e “inspiegabilmente” nella notte.
A tutti abbiamo chiesto il media kit (un documento con all’interno le informazioni che li riguardano e che rendono il profilo appetibile o meno per un brand) e i professionisti seri ci hanno inviato quello che volevamo. Alcuni ci hanno risposto invece “media ke?”.
Quella di influencer è una figura strana, super contestata, non sempre apprezzata, ma sempre ricercata dai brand. Nel caso in cui ci si voglia affidare a qualcuno che si è specializzato in questo settore bisogna farlo sapendo che esistono degli strumenti per fare bene questo lavoro, e sono i dettagli che fanno la differenza, anche quelli piccoli che potreste trovare in un profilo, più o meno curato. A volte l’apparenza inganna, altre volte no.
Mari